Vayu, Prana, Pranayama

Ogni scienza o disciplina utilizza un proprio linguaggio tecnico per esprimere particolari concetti. L’informatica utilizza il temine “BIOS” (basic input-output system) per indicare una serie di funzioni basate su dati in entrata e in uscita. Le scienze biomediche parlano di ‘attività senso-motorie’ e di ‘networking’ del sistema nervoso . I testi tradizionali di Hatha e Tantra Yoga fanno riferimento a termini come ‘vayu‘, ‘prana‘ e ‘pranayama‘.

Per il praticante sarebbe opportuno conoscere e comprendere bene il significato dei più importanti termini alla base di ogni pratica yogica:
vayu’ attività neuro-muscolare e/o azioni psico-neuro-muscolari a livello dei nervi motori e delle aree motorie del cervello e del midollo spinale.
prana‘ stimolazione dei vari recettori (esterocettori/tele-recettori, recettori interni, recettori viscerali e recettori vestibolari) che danno origine a sensazioni e di conseguenza a vari tipi di conoscenza interiore.
pranayama‘ sensazioni di maggiore profondità, intensità, qualità e sottigliezza nel percepire informazioni relative al ‘sé’ che sono alla base della pratica dello yoga spirituale (adhyatmik yoga). Di altra natura sono le sensazioni relative all’unione con l’esterno o ‘yoga materiale’ (bhautik yoga) o quelle relative allo ‘yoga trascendente’ (paramarthik yoga)

Nel senso moderno del termine, la scienza, la filosofia e tutti i vari aspetti pratici dei programmi delle scuole di formazione per insegnanti impostati sulla linea dello yoga tradizionale, si basano sulle conoscenze esperienziali relative all’esistenza e alla sopravvivenza dell’essere umano e alla vita stessa nelle diverse condizioni ambientali. Coloro che hanno fatto questo tipo di esperienze hanno cercato di condividerle con chi ancora non aveva acquisito tali conoscenze di natura profonda. Trattandosi di percezioni e di sensazioni interiori, è inizialmente difficile trovare parole adatte per comunicare le proprie esperienze di natura puramente soggettiva, sia da parte degli insegnanti sia da parte degli allievi .

Molte scuole, per sottolineare l’importanza della pratica del pranayama e per descriverne le varie tecniche e i relativi effetti, utilizzano termini come vayu, vata, prana, pavana, samirana, anila, maruta, maruta, svasana, prabhanjana. Va detto che questi termini vengono spesso utilizzati in modo indiscriminato, a volte sono intesi come sinonimi e frequentemente vengono spiegati con linguaggio poco chiaro. A seconda delle tradizioni, i termini ‘vayu’, ‘prana’ e ‘pranayama’ variano sia per il loro significato, sia per la comprensione che se ne può avere e, anche in riferimento alla medesima tradizione, vengono contestualizzati in modo diverso, come si può constatare leggendo il dizionario dei termini Yoga ‘Yoga Kosha’ pubblicato dall’Istituto Kaivalyadhama di Lonavla (India). In relazione a quanto detto e a beneficio del lettore ritengo utile fare chiarezza riguardo ad alcuni di questi importanti termini e del loro relativo significato.

 

Diversi modi di interpretare e comprendere il termine ‘vayu’:

a) respiro (svasa-prasvasa): vaju viene tradotto con vento (aria in movimento)
b) ‘prana’: energia che si muove all’interno del corpo, che può essere portata in ogni parte del corpo, compreso il capo, e lì tenuta per breve o lungo tempo.
c) vayavah dashadah attività vitale riflessa.
d) chitta-avastha stati di coscienza derivanti da azioni, attività o schemi comportamentali.
e) jnanendriyas e karmendriyas funzioni dei cinque organi motori e dei cinque organi di senso.
f) vayu inteso come mahabhuta: sostanza materiale costitutiva della Natura (Universo) e dell’individuo.
g) vayu (vayusthana) area del corpo (dall’ombelico al naso) sotto l’influenza di vayu.
h) nutrimento che raggiunge ogni parte del corpo o dell’essere (si tratta di ossigeno o di qualche altra cosa?)
i) Azione muscolare (contrazione/rilassamento)
j) vata prakruti costituzione dell’individuo, vata dosha / umore, raja guna tendenze comportamentali.
k) ‘vata dosha’ termine ayurvedico

Diversi significati ed interpretazioni del termine ‘prana’:

a) Respirazione,
b) Respiro o aria che si muove in continuazione attraverso il corpo.
c) Uno dei cinque vayu, gli altri quattro sono apana, samana, udana and vyana.
d) Funzioni autonome riflesse a sostegno dell’attività vitale.
e) Funzioni del ‘jiva’ (essere vivente), ‘jivana’.
f) Energia nervosa, impulsi motori.
g) Qualcosa che si attiva lungo il lato posteriore (impulsi nervosi relativi all’attività dei muscoli vertrebrali!).
h) Uno dei dieci vayu che si ritiene risieda al di sotto del kanda (bulbo).

Diversi significati ed interpretazioni del termine ‘pranayama’:

a) Pausa respiratoria
b) Processo completo dell’ inspiro e dell’espiro e sospensione con diverse modalità.
c) Pratica che porta verso la suprema realizzazione.
d) Respirazione a narici alternate usando il pollice per chiudere una narice e anulare e mignolo per chiudere l’altra narice.
e) Inspiro puraka!, espiro rechaka! e sospensione del respiro kumbhaka! durante le pratiche di yoga.
f) Contemplazione su alcuni diversi aspetti della Divinità, ‘Gayatri’: ‘a’ durante rechaka, ‘u’ durante kumbhaka e ‘ma’ o dea ‘Saraswati’ durante puraka.
g) Risalita di apana, fusione con prana e risalita delle due energie verso il capo.
h) Contemporanea cessazione di pranagati e di apanagati.
i) Stato equilibrato di prana e di ‘apana’.
j) Fissazione dell’aria vitale.

In assenza di una buona traduzione e di una corretta interpretazione può capitare di sentirsi confusi e disorientati con il risultato dell’ abbandono delle varie pratiche impostate su tali termini e su tali concetti. Rendendomi conto della necessità di presentare una materia così importante in modo semplice e comprensibile, ho cercato di tradurre alcuni dei concetti e dei termini sopra riportati usando il linguaggio semplice della medicina moderna ad uso dei nuovi praticanti e di chi è interessato agli aspetti sottili della pratica dello yoga..

Semplici meccanismi fisiologici, psico-fisiologici e fisio-psicologici di base:

sin dalla prima infanzia, la maggior parte dei processi educativi e di apprendimento psico-motorio dell’individuo avviene sulla base di tre tipi di movimenti del corpo che non sono direttamente collegati con la respirazione:
1. movimenti di locomozione vyana vayu‘: movimenti lineari (che seguono una direzione alla volta?) di braccia, gambe, e colonna vertebrale in avanti, in dietro e laterali.
2. movimenti di equilibriosamana vayu‘: per esempio, sollevarsi sulle punte dei piedi, stare su una gamba sola, camminare, posizioni capovolte, ecc.
3. movimenti in direzione verticale o antigravitazionaliudana vayu‘: saltare verso l’alto, sollevare verso l’alto le gambe o le braccia, ecc. .

Si tratta di movimenti che atleti, ginnasti, danzatori o attori possono osservare anche guardandosi allo specchio, che possono essere ripresi in video o fotografati ed essere valutati e giudicati anche in modo oggettivo. Gli stessi movimenti possono essere anche sperimentati da chi li sta eseguendo, si tratta di una conoscenza esperienziale e soggettiva basata su percezioni interiori (enterocezione) ben diversa dalla conoscenza oggettiva derivante dalle percezioni visive (esterocezione).
Il termine ‘indriya-prana’ indica nel lingiaggio dello yoga l’acquisire questo tipo di conoscenza.

Va inoltre notato che si tratta di movimenti di carattere ‘non respiratorio’ anche se il respiro ne può venire direttamente influenzato, soprattutto quando l’attività fisica si fa molto intensa. Nell’ambito dello yoga, proposto come attività ginnica o sportiva, la pratica può anche essere di tipo competitivo e in questo caso sono i giudici a valutare i movimenti osservandoli dall’esterno. Ci sono però anche movimenti dalle caratteristiche diverse: i movimenti respiratori, relativi alla pratica del pranayama, sono tra questi e ad essi lo yoga attribuisce un grande valore.

Iniziamo a respirare appena nasciamo e sappiamo che la respirazione naturale e involontaria ha alcune caratteristiche:
1. movimenti corporei di apertura o espansioneprana vayu‘ relativi alla fase dell’inspirazione, svasa. (simili ai movimenti delle pareti di un palloncino che si espandono mentre si gonfia).
2. movimenti corporei di chiusura o ritrazioneapana vayu‘ relativi alla fase dell’espirazione, prasvasa . (simili ai movimenti delle pareti di un palloncino che si ritraggono mentre si sgonfia).

Il neonato non ha coscienza dei movimenti del corpo relativi alla respirazione, neppure del movimento dell’aria che entra e che esce attraverso le narici o di altri movimenti corporei, ma i suoi movimenti respiratori possono però essere facilmente osservati dall’esterno. Il medico sa che le variazioni di pressione dovute al movimento del diaframma all’interno della cavità addominale si manifestano, in condizione di riposo, come movimenti della parete addominale. Chi non ha una formazione medica non è però consapevole di questo fatto ed è convinto che, responsabile per i movimenti della parete addominale relativi alla respirazione, sia il movimento dell’aria. Questa errata credenza o convinzione va corretta prima di procedere nel percorso del pranayama.

Il pianto del bambino appena nato che coinvolge la respirazione e la maggior parte dei movimenti del suo corpo sono involontari e di natura riflessa. Nel tempo il bambino impara a controllare, modificare e ad utilizzare il respiro nei vari possibili modi, con o senza consapevolezza (mindfulness). E’ da notare che a nessuno viene impartita una educazione sistematica riguardo alla corretta ‘meccanica respiratoria’ o a come utilizzare il respiro in modo intelligente, nonostante tutti imparino a parlare, a cantare, a modificare e a controllare attività naturali come piangere, ridere, gridare, urlare, starnutire, singhiozzare, tossire, ecc.

I vari corsi di formazione che prevedono anche l’educazione al respiro e sono condotti da persone senza formazione medica, tendono a dare grande importanza all’interscambio gassoso (ossigeno/anidride carbonica), ai volumi di aria inalata, alla ventilazione, al tempo di ritenzione o alla capacità di inalare ed esalare velocemente e completamente nel più breve tempo possibile e anche la letteratura yoga moderna tende a mantenere questo tipo di impostazione. Seguendo questo approccio moderno, c’è rischio che il pranayama venga insegnato senza tenere in alcun conto la corretta meccanica respiratoria.

Vayu’, ‘prana’ e ‘pranayama’ nello Yoga

Vayu: attività neuro-muscolare per lo più di natura involontaria e/o azioni di natura psico-neuro-muscolare, per lo più di natura volontaria.

Prana: acquisire conoscenza interiore tramite l’attività sensoriale del sistema nervoso.

I due movimenti di espansione e ritrazione delle pareti del corpo relativi alla respirazione e i tre movimenti non correlati alla respirazione: locomozione, equilibrio e movimenti verticali/anti-gravitazionali, in yoga vengono definiti come i cinque vayu principali (movimenti neuro-muscolari). I cinque vayu sono sempre attivi e sono responsabili per lo svolgersi di azioni e attività quotidiane indispensabili alla sopravvivenza.
Altri cinque tipi di movimento, evidenti o sottili, sono invece di natura riflessa e si manifestano quando il sistema si attiva per superare squilibri o disturbi interiori: starnutire, sbadigliare, singhiozzare, tossire, ruttare rientrano nella categoria dei cinque vayu minori o secondari.

L’azione di questi 10 vayu (attività motorie) che, grazie all’attività sensoriale del sistema nervoso, dà conoscenza interiore ‘jnana’ può essere intesa come ‘prana’.

Anche le sensazioni acquisite attraverso il funzionamento degli organi sensoriali (tele-recettori o esterocettori) e/o attraverso il feed back di muscoli scheletrici, articolazioni e legamenti (percezione cinestesica) sono definiti nello yoga ‘prana’ e possono essere in relazione al mondo esterno in quanto oggetti, eventi o situazioni presenti al di fuori del corpo (bahya akaksha). Naturalmente possiamo imparare e conoscere anche ciò che avviene all’interno del corpo, nello spazio interiore (antarakasha) grazie al funzionamento degli organi interni, consapevolezza viscerale, o allo stato dei muscoli scheletrici, consapevolezza propriocettiva.

In yoga la respirazione è presa in considerazione come l’unica attività vitale che può essere facilmente percepita, controllata e modificata. Nello yoga tradizionale l’insegnamento del pranayama prevede che la pratica sia impostata a livello di meccanica respiratoria piuttosto che di interscambio gassoso. Si parte dal concetto di corpo pranico (pranayama kosha) come descritto nelle varie Upanishads e dai concetti di ‘nadishuddhi’, ‘kumbhaka’, ‘fior di loto’, ‘chakras’ e risveglio di kundalini presenti nello Hatha e nel Tantra Yoga.

Le modalità attraverso le quali avviene l’esperienza della meccanica respiratoria e del flusso del respiro, inteso come flusso che entra e che esce, possono essere: la percezione tattile all’interno del corpo ‘antah sparsha’, il suo percorso interiore (nadi o marga) e la velocità del suo movimento (gati). La pratica nel suo insieme consiste nell’imparare a riconoscere sia l’azione di ‘vayu’, in quanto movimento o attività neuro-muscolare, sia l’attività sensoriale interna ‘prana. Aumentando la percezione sottile e la comprensione di ciò che avviene all’interno e grazie all’aiuto di una pratica regolare ‘abhyasa’ si può così raggiungere lo stato di ‘pranayama’ che può portare il praticante verso uno stato di realizzazione personale o ‘realizzazione del Sé’. Il flusso dell’aria (respiro) non ha forma, odore o consistenza e quando è spontaneo e naturale avviene in modo involontario; l’esperienza tattile del movimento dell’aria viene percepita all’interno del corpo dove i recettori nervosi che si attivano sono diversi rispetto ai recettori esterni collocati sulla pelle.

Meccanismi psico-fisiologici relativi alle dottrine di ‘vayu’ e ‘prana’ in relazione a ‘pranayama’.
Come accennato in precedenza, i movimenti evidenti del corpo intesi in termini di attività neuro-muscolare o psico-neuro-muscolare, sono stati definiti col termine ‘vayu’, mentre la percezione degli effetti di questi movimenti, ottenuta attraverso le attività sensoriali, è stata definita come ‘prana’ in relazione alla pratica di pranayama. Testi dello Hatha e del Tantra Yoga parlano solo dei cinque ‘vayu’ minori o sussidiari, non dei cinque tipi di ‘prana’. I vaju minori vanno intesi come azioni riflesse che segnalano un disturbo delle funzioni del corpo. Va ribadito che non esiste unanimità di visione nei confronti delle funzioni psico-fisiologiche attribuite a vayu e a prana sia nelle diverse scuole sia nella letteratura dello Yoga e dell’Ayurveda e come sostenuto dai diversi esperti.

Scritti moderni riguardanti questi argomenti possono essere messi in discussione a seconda degli obiettivi pratici ed esperienziali che si vogliono raggiungere seguendo gli insegnamenti tradizionali dello Yoga. Per questo ho voluto presentare un punto di vista leggermente diverso in considerazione di coloro che vorrebbero imparare lo yoga sia praticandolo, sia attraverso una loro personale esperienza.

I cinque vaju maggiori sono: prana vayu, apana vayu, vyana vayu, samana vayu e udana vayu.
I cinque vaju minori sono: naga, kurma, krukala, devadutta e dhananjaya.

I Cinque vayu maggiori indicano vari tipi di processi in cui vi è una azione:
1. Prana vayu: movimenti fisici, fisiologici e/o psico-fisiologici responsabili per prendere o ricevere qualcosa di solido (cibo), liquido (acqua), ma anche aria (respiro), pensieri, sensazioni, emozioni, ecc.
2. Apana vayu: movimenti fisici, fisiologici e/o psico-fisiologici responsabili per rilasciare, portar fuori, emettere qualcosa di solido come le feci, di liquido come urina, lacrime, sudore ecc. ma anche aria/vento (respiro), pensieri, ricordi, sentimenti ecc.
3. Vyana vayu: movimenti fisici, fisiologici e/o psico-fisiologici responsabili per lo spostamento di oggetti sul piano materiale, ma anche pensieri, sensazioni, sentimenti, etc.
3. Samana vayu: movimenti fisici, fisiologici e/o psico-fisiologici responsabili per il mantenimento della stabilità e dell’equilibrio.
4. Udana vayu: movimenti fisici, fisiologici e/o psico-fisiologici responsabili per movimenti ascendenti, movimenti verso l’alto (contro la gravità).



I cinque ‘prana’: vari stati di coscienza/consapevolezza

1 ‘prana’ e attività pranica’: attività nervosa e/o neuro-muscolare che dà luogo a sensazioni, conoscenze, e a uno stato di consapevolezza/coscienza di ricevere qualcosa a livello di Sè.
2 ‘apana’ e ‘attività apanica’: attività nervosa e/o neuro-muscolare che dà luogo a percezioni, sensazioni e a uno stato di consapevolezza/coscienza di rilasciare qualche cosa, eliminare, dimenticare, svuotarsi di qualcosa a livello si Sè.
3 ‘vyana’ e ‘attività di vyana’: attività nervosa e/o neuro-muscolare che dà luogo a sensazioni, percezioni, e a uno stato di consapevolezza/coscienza di movimenti lineari o circolari. È la consapevolezza di un movimento lineare a livello di sé.
4 ‘samana’ e ‘attività di samana’: attività nervosa e/o neuro-muscolare che dà luogo a percezioni, sensazioni, coscienza di uno stato equilibrato, bilanciato. È la percezione di uno stato di coscienza in equilibrio a livello di sè ‘Samadhi’?.
5 ‘udana’ e ‘attività di udana’: attività nervosa e/o neuro-muscolare che dà luogo a sensazioni, percezioni e consapevolezza di un movimento verso l’alto sul piano fisico e di uno stato di elevazione sul piano mentale. È la consapevolezza di andare verso l’alto, di elevarsi. Pratiche relative al raggiungimento di queste sensazioni possono essere ujjayi, uddiyana, utthana’.

Conclusioni:

Riassumendo è utile ricordare che il percorso formativo che segue le tracce lasciate dallo yoga tradizionale nella pratica mette l’accento sull’aspetto relativo all’esperienza e alla conoscenza ‘prana’ che deriva dalle proprie azioni e delle proprie attività ‘vayu’ evitando che la pratica sia solo una ripetizione meccanica.

Le Upanishads indicano una sequenza definita in termini di ‘kriya-jnana-upasana’: le attività ‘kriya – vayu’ danno luogo ad una conoscenza ‘jnana – prana’ e lavorando sulla base di questa conoscenza interiore ‘upasana – pranayama’, si dovrebbero creare abitudini che si manifestano in nuovi schemi comportamentali dell’individuo e del suo modo di essere e di divenire.

La sequenza indicata dalla Bhagavadgita è espressa in termini di ‘karma-jnana-bhakti’: le azioni ‘karma – vayu’ dovrebbero trasformarsi in conoscenza ‘jnana – prana’, conoscenza che ampliandosi diventa impegno, rispetto e dedizione alla vita ‘bhakti – pranayama’.

 


Mukund V. Bhole
(Traduzione a cura di Lucilla Monti)